Qualcosa di più di un semplice noi – 1° parte

Dalla televisione accesa, sintonizzata su una trasmissione sportiva, arrivano voci alterate di uomini e donne che discutono di calcio come se il pallone fosse la loro unica ragione di vita. È una replica, nemmeno mi interessa, ma non ho ancora avuto il tempo di cambiare canale.
Chiudo lo sportello del frigorifero con l’anca, in mano il latte e il succo d’arancia.
«Corinne! Muoviti, la colazione, che fai tardi a scuola!»
Dal bagno proviene un grugnito disumano, mia figlia è peggio di uno yeti quando apre gli occhi al mattino. Da quando è incinta, poi, il suo umore da violaceo è passato a nero in un battito di ciglia.
Si lascia cadere sulla sedia a peso morto e ingoia una manciata di cereali, poi abbassa il viso verso Gastone, che non si fa pregare per sfregarle la fronte con la propria in un muto saluto quotidiano.
«Lo sai che non voglio il gatto sul tavolo, come faccio a farglielo capire se io lo sgrido e tu lo coccoli?» brontolo, alzando gli occhi al cielo.
«Rinuncia, mamma. La tua è una battaglia persa in partenza! Lui aspetta di bere il latte che avanzo, come tutte le mattine.»
Mastica parole e corn flakes sotto lo sguardo vigile del suo protetto, e a me non resta che sospirare.
Che poi è la stessa cosa che ho fatto quando mi ha detto di aspettare un bambino.
«Cosa sono questi colpi?» mi chiede, il cucchiaio fermo a mezz’aria. «Ma vengono dall’appartamento di fianco? Quello della signora Sandra?»
«Pare di sì. Ma non credo sia tornata a casa dall’ospizio, probabilmente i figli hanno deciso di affittarlo, oppure l’hanno venduto…»
«Ah, sì, sarà così… Io vado, ciao.»
Lei e la sua massa di boccoli castani che le incorniciano il volto di bambina si alzano dal tavolo e spariscono in camera.
«Corinne! Farai tardi, sbrigati!»
«Uffa, mamma! Sto andando!» sbraita, infilando la porta.
Zainetto in spalla, minigonna di jeans, All Stars e maglietta rossa, niente trucco e pancia appena pronunciata. Non sarà facile tirare avanti con una bocca in più da sfamare, ha quattordici anni e altri quattro di liceo davanti a sé.
Riordino la cucina, mentre dalla televisione trasmettono un reality. I rumori provenienti dall’alloggio accanto non accennano a diminuire. Spero siano vicini di casa riservati e tranquilli, una volta terminato il trasloco.
Oggi inizio a lavorare nel pomeriggio, devo pensare alla cena per Corinne, altrimenti lei finisce con lo scaldarsi un pacchetto di wurstel e scongelare un paio di pizzette.
Ma prima di pensare al cibo, devo fare due conti. Mi siedo al tavolo armata di calcolatrice e bollette, sperando in un miracolo. Purtroppo le entrate sono sempre insufficienti, l’impiego al call center ci permette appena di superare la soglia di metà mese, il resto proviene dalle serate nei night club. Finché posso permettermi di spogliarmi in pubblico e c’è chi paga per guardarmi.
Se solo lei non fosse rimasta incinta… Avrei dovuto pensarci prima, avrei dovuto pensare alla mia esperienza. Avrebbe preso la pillola e sarebbe andato tutto bene.
Solo che lei, la mia bambina, non aveva una vita sessuale attiva, ne ero certa. Non aveva nemmeno un fidanzatino, niente. Come potevo immaginare che la notte di Capodanno, trascorsa in discoteca con le amiche e gli amici di sempre, lei avrebbe bevuto così tanto da accettare la compagnia di uno sconosciuto?
Tutte le versioni dei suoi compagni sono state concordi: Corinne quella notte è scomparsa dalle due alle quattro, poco più, poco meno. E né prima né dopo l’hanno vista insieme a persone estranee. Lei ricorda un uomo alto, bello e gentile, che la teneva sulle proprie ginocchia e le baciava il collo.
Come identikit non era granché, e soprattutto lei non mi ha detto nulla fino al mese successivo, quando ha saltato il ciclo.
Rimetto a posto le scartoffie, inutile pensarci ancora sopra: la sua vita cambierà com’è cambiata la mia, in modo improvviso, violento e drastico.
Io ero sola, noi siamo in due. E se non altro, non ha subìto il trauma di una violenza, nei suoi ricordi ci sono solo sprazzi di immagini e di sensazioni che lei stessa definisce sublimi. La mia opinione resta la stessa, ma se lei ritiene di essere stata consenziente, tutto sommato alla fine è meglio così.
Apro la portafinestra che dà sul terrazzo, e Gastone ne approfitta subito per farsi un bagno di sole; siamo alla fine di aprile, l’aria è piacevolmente tiepida e profumata.
Devo scendere a fare un po’ di spesa, e poi chiamare il proprietario del night. Ho bisogno di lavorare anche domenica sera, domani non è sufficiente per chiudere il mese con lo stomaco pieno.
Leggins bianchi, ballerine e maglioncino leggero, i capelli biondi raccolti in una coda, afferro la borsetta sul divano ed esco.
La porta dell’appartamento della signora Sandra è aperta, e sull’uscio sono posati due scatoloni ricolmi di libri e cd. Che un attimo più tardi sono afferrati da un paio di braccia muscolose e tatuate.
«Ehm… ciao» borbotto, chiudendo a chiave.
Oltre alle braccia fa capolino un viso maschile, mascella squadrata dotata di barba incolta, capelli corti e scuri, e due occhi grigi fuori dal comune.
«Ciao. Perdona per il trambusto, spero di non averti disturbata troppo» mi dice, senza alcuna particolare inflessione nella voce.
«Ti ho sentito, ma non importa. Stai traslocando, immagino… Sei il mio nuovo vicino, quindi…»
«Direi di sì. Scusa, sono di fretta» conclude, rientrando e sbattendo la porta.
Accidenti, che tipo! Mica pretendevo che si fermasse a fare conversazione! Maleducato, me ne ricorderò quando resterà senza zucchero.

Continua…

4 pensieri su “Qualcosa di più di un semplice noi – 1° parte

  1. Angosciante, affascinante, stuzzicante. Kiara sei fantastica, mi hai portato in quella stanza, sentivo odori, rumori, fastidiose sollecitazioni. Aspetto con ansia il seguito.
    Meravigliosa!

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